Sezione archeologica
La collezione Collisani e la grotta del Vecchiuzzo
La collezione esposta nel Museo civico di Petralia Sottana è il risultato del lavoro di ricerca e della passione archeologica di Antonio Collisani. Nato a Petralia, il 22 maggio 1911, da genitori entrambi petraliesi, iniziò il suo girovagare nelle montagne che circondano il paese dove incontrava contadini e pastori, artefici di oggetti d’uso e di lavoro, intagliati, scolpiti, ornati in cui egli vedeva la traccia e il senso dell’intelligenza umana. Questa attitudine rimase sempre la motivazione dei suoi molteplici interessi artistici. Venticinquenne si appassionò a una leggenda che circolava in paese riguardante un cunicolo che, si diceva, attraversava la montagna della rocca delle Balate che fronteggia a sud-ovest il paese e si pose a cercarlo, superando le difficoltà naturali, economiche, istituzionali, e trasformando quella prima curiosità in un lavoro archeologico programmatico fino a trovare, nel maggio 1936, l’imboccatura della grotta del Vecchiuzzo, un’esperienza esaltante per il giovane madonita, dopo quarant’anni da lui raccontata e poi pubblicata da Vincenzo Tusa in un numero della rivista Sicilia archeologica (agosto-settembre 1975). Le due campagne di scavi che seguirono la scoperta, condotte da Paolo Mingazzini nel 1937 e Iole Bovio Marconi nel 1938, rivelarono un ricchissimo giacimento preistorico, testimonianza nella zona madonita della presenza umana in un lungo periodo compreso tra il Neolitico e l’età del Bronzo. Furono portati alla luce materiali di pietra e di terracotta collegabili ad attività rituali e domestiche o a contesti funerari, eterogenei e di diversa datazione, che furono depositati presso il Museo Antonino Salinas di Palermo. Non è stata possibile una interpretazione univoca del sito che, del resto, sembra piuttosto essere stato utilizzato variamente in tempi diversi. Antonio Collisani, divenuto magistrato, non dimenticò i suoi interessi giovanili. Dette inizio a un diverso lavoro di ricerca e di raccolta, proponendosi per quanto possibile di salvare dalla dispersione gli oggetti archeologici che gli era possibile acquistare. La carica emozionale con cui vi si dedicava non offuscava in lui il valore della conoscenza scientifica e non gli impediva di dedicarsi a tecniche e metodi appresi attraverso la pratica del restauro. La collezione divenne sempre più ricca e fu notificata dalla Soprintendenza. Antonio, che non aveva l’attitudine tipica del collezionista, nel senso che non era un raccoglitore, un accumulatore di un genere o di una tipologia, ma anzi si apriva ad ogni nuovo incontro, a ogni nuova scoperta, la dispose nella sua casa di Palermo, città dove intanto si era trasferito, curando ogni singolo oggetto col suo particolare gusto rispettoso e ironico, mostrandola con orgoglio agli intenditori e agli appassionati. Così la vide, condotto da Vincenzo Tusa, l’archeologo Hans Peter Isler, professore all’Università di Zurigo il quale costituì un gruppo di ricerca, da lui guidato insieme con Michel Sguaitamatti, e di cui fecero parte anche Sebastiano Tusa e Antonella Spanò Giammellaro, che studiò tutti gli oggetti, anche tenendo conto delle informazioni che potè fornire il proprietario e curò la pubblicazione di un catalogo, La Collezione Collisani. Die Samlung Collisani, Akantus, Kilchberg, 1990 che ha dato alla collezione risonanza internazionale. Fu Francesco Figlia, storico e autore di importanti libri e saggi su Petralia Sottana, oltre che sindaco del paese dal 1993 al 1997, che per primo pensò che la collezione avrebbe trovato una destinazione significativa nel Museo civico che egli volle istituire, e per il quale scelse i locali dell’ex-carcere. I sindaci che vennero dopo di lui – Roberto Ardizzone e Santo Inguaggiato – ne hanno raccolto l’impegno e continuato e portato a termine il lavoro (continua a leggere scorrendo la pagina).
L’assessore alla cultura di quegli anni, Giuseppe Castrianni, più di ogni altro si è speso in questa direzione, coinvolgendo il personale del Comune, professionisti ed esperti, ditte e maestranze locali, e l’intera popolazione. L’architetto Teresa La Rocca ha progettato un elegante allestimento insieme con le archeologhe Lydia Conte e Laura Riolo, mettendo in risalto gli oggetti con la semplicità e l’essenzialità delle vetrine a parete e di alcune teche isolate che ne permettono una più completa visione. Sul fondo della sala una lunga mensola sostiene invece alcuni originali espositori ideati e realizzati da Enzo Patti, quando la collezione si trovava in casa Collisani, e da Umberto Signa. Il Museo è stato inaugurato nell’aprile del 2008 e in quell’occasione fu stampata una pubblicazione che raccoglie le testimonianze di tutti i protagonisti. Gli oggetti esposti sono diversi per origine storica e tipologica. La parte più antica è costituita da diversi vasi preistorici, provenienti da varie parti della Sicilia e ascrivibili alle diverse culture che vi si svilupparono dal Neolitico all’Età del Bronzo. Tra essi spicca il boccale [vedi], databile tra il XX e il XVIII secolo a.C., a decorazione incisa, che per forma e decorazione si inserisce nello Stile del Bicchiere Campaniforme, un bicchiere a forma di campana rovesciata connesso, forse, con l’uso di particolari bevande fermentate simili alla birra. Si tratta di un vaso con corpo globulare schiacciato e alto e largo collo cilindrico e piccola ansa, proveniente forse dalla zona di Sciacca. La decorazione, ottenuta con serie di puntini impressi riempiti di pasta bianca, è a fasci di linee verticali sul corpo, a fasce delimitate da linee orizzontali e riempite con serie di rombi sul collo. Tra i reperti più antichi ci sono anche alcuni gioielli in bronzo, una collana in ambra, alcuni utensili in selce neolitici che vengono presentati nei supporti in plexiglas di Enzo Patti (continua a leggere scorrendo la pagina).
Anche la sezione classica è composta da reperti provenienti da siti siciliani. Comprende statuette fittili che vanno dal VI sec. a.C. al II sec. d. C. e un ricco repertorio vascolare corinzio del VII-VI sec. a.C., decorato, come nella tradizione. da fregi animali e floreali a vernice nera o rosso-bruna. Tra questi un curioso oggetto: un piccolo vaso, chiamato aryballos, molto diffuso nella Grecia orientale e a Corinto, solitamente panciuto, di piccole dimensioni e caratterizzato da un labbro largo e piatto e con una piccola ansa verticale. Questo tipo di vasetto, che gli atleti spesso tenevano legato al polso, veniva utilizzato per contenere gli olii e gli unguenti che venivano spalmati sul corpo prima di affrontare una gara. L’aryballos [vedi] qui esposto, appartenuto forse a un guerriero, è modellato a Testa di Guerriero con Elmo, ed è decorato con motivi a spirali e a cerchi concentrici dipinti in nero. Non se ne conosce la provenienza e può datarsi tra il 600 e il 570 a.C I vasi attici, anche questi siciliani, e anche questi dei secoli VI e V a.C., sono quasi tutti splendidamente decorati da figure nere o rosse. Spicca il bellissimo cratere a campana[vedi] a figure rosse della seconda metà del V sec.a.C. (430 a.C. circa), forse proveniente da Selinunte. La vicenda rappresentata – narrata nella letteratura antica – è quella di Ilaira e Febe, le due figlie del principe di Messenia Leucippo, fratello di Afareo, ai cui figli gemelli, Idas e Linceo, Leucippo aveva promesso in sposa le due figlie. Ma i Dioscuri, Castore e Polluce, figli di Zeus e Leda, con il consenso di Leucippo a cui offrirono ricchi doni, rapirono le due fanciulle ed ebbero da loro dei figli. Ciò provocò una sanguinosa lotta tra le due coppie di gemelli. Alla fine, secondo una versione del mito, Zeus collocò Castore e Polluce, che avevano mostrato di fronte alla morte rispetto e amore reciproci, come costellazione dei Gemelli, fra gli astri. In un’unica vetrina sono esposti i reperti in bronzo, che possiamo collocare tra l’VIII sec. a. C. e il II d. C, tutti di notevole interesse artistico, ed alcuni anche di interesse storico, come quello che è stato più di tutti studiato e discusso, un bronzetto[vedi] rinvenuto, in epoca imprecisata, nel corso dell’aratura di un campo nel territorio di Petralia. Certamente si tratta di uno dei reperti più straordinari del Museo e anche di uno dei più difficili da interpretare e datare. Realizzato in bronzo con la tecnica della cerapersa, si tratta di una figurina nuda itifallica con il corpo fortemente piegato in avanti quasi in atto di scagliarsi contro qualcuno. Sul busto ha una cintura e sul capo un elmo con alta cresta. Con il braccio sinistro regge uno scudo mentre nella mano destra tiene un oggetto, interpretato come una sorta di clava o faretra o come un astuccio penico. Si tratta di un guerriero pronto all’attacco o, come è stato ipotizzato, di un “iniziato” che attraverso diverse prove rituali attinge nuova vita e accresce il proprio potere fecondante? E a quale epoca risale? Il primo editore del bronzetto, l’archeologo Ettore Gabrici, ci racconta che insieme al bronzetto, nel corso dell’aratura, vennero fuori diversi vasi frantumati, appartenuti forse a un corredo funerario, e pertinenti alle produzioni ceramiche figurate del IV-III sec.a.C., epoca a cui lo studioso attribuisce anche il bronzetto. Altri studiosi, invece, ritengono che la piccola scultura possa risalire ad età protostorica o arcaica (tra VIII e VI sec.a.C.).
Infine i vetri policromi, esposti nel supporto realizzato da Umberto Signa, sono piccoli balsamari di diverse forme, tutti decorati con colori vivaci, specialmente blu e giallo; e poi gioielli, amuleti e pendenti antropomorfi: teste umane con grandi occhi che erano usati come amuleti. Da una finestra del primo piano del Museo si intravede sulla montagna l’ingresso alla grotta del Vecchiuzzo, auspicio di una continuità che non riguarda soltanto i luoghi ma la memoria e la storia. In questo spirito il Museo archeologico regionale Antonino Salinas della città di Palermo ha accolto la richiesta del Comune di Petralia e ha depositato presso il suo Museo alcuni reperti della grotta del Vecchiuzzo che, per quanto poco numerosi e per quanto in frammenti, offrono al visitatore uno spaccato rappresentativo della vita, delle pratiche e delle attività di coloro che abitavano la grotta. Questa piccola raccolta, selezionata a questo scopo, ha trovato posto al primo piano, a fianco della sala che ospita la collezione Collisani, proprio dove si apre la finestra da cui si vede la grotta.